©Andrea Pazienza

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  • Andrea Pazienza (San Benedetto del Tronto 1956, Montepulciano 1988)

    Pazienza è un artista che ha scelto il fumetto per esprimere la sua concezione del mondo e poterla meglio comunicare, perché: “Quello che mi interessa è comunicare, comunicare in un certo modo… Io sono alla ricerca continua di motivi validi per comunicare qualcosa…”. Una comunicazione che raggiunge con le sue storie e i suoi personaggi che fanno epoca, come Pentothal, Pompeo, Zanardi e tanti altri capaci come nessun altro di entrare in sintonia con lettori vecchi e nuovi, e i nuovi non sono solo appassionati del fumetto, ma soprattutto persone in cerca di un’identità smarrita, ma ben interpretata da Pazienza. Così, ri-rovesciando l’attitudine di Lichtenstein che prendeva brani di fumetto per farne arte, egli riconverte l’arte in forma di fumetto. Per questo nel 1974, ancora studente, entra nel sistema dell’arte, diventando socio della galleria d’arte pescarese Convergenze, centro d’incontro e di informazione, laboratorio comune, in cui espone, ma da cui esce dopo qualche anno. È una galleria polivalente tra i cui fondatori ci sono anche i suoi professori del Liceo Artistico pescarese, Albano Paolinelli e Sandro Visca, ma anche Elio Di Blasio, artista informale che aveva conquistato un posto nell’Italia dell’arte Informale, nonché maestro di Ettore Spalletti; lo spazio era diretto dall’intellettuale (termine che allora aveva ancora senso) Peppino D’Emilio. Si tenga presente che in quegli anni Pescara è una città dove l’arte contemporanea trova asilo e dibattito, muovendosi tra l’arte cinetica di Getulio Alviani e compagni e i nuovi arrivi dell’Arte Povera, con Mario Merz, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini, Gilberto Zorio, ma anche Joseph Beuys, che gravitano tra le gallerie di Mario Pieroni, Lucrezia De Domizio Durini e Cesare Manzo, seguiti dagli ulteriori arrivi di Gino De Dominicis, Sandro Chia, Francesco Clemente, Remo Salvadori e Marco Bagnoli, promotori del successivo cambiamento dell’arte verso gli anni Ottanta. Ma come detto, Pazienza esce quasi subito dal dibattito artistico che si sviluppa internamente a gallerie e musei, perché interessato a portare la sua arte e il dibattito relativo in un ambito più ampio. In tal senso egli segue la traiettoria di alcune pop star come David Bowie, o John Lennon che pur avendo fatto scuole d’arte sono alla ricerca di un linguaggio che permetta alla loro creatività di parlare al di fuori del linguaggio circoscritto dei musei. Si tratta di una traiettoria creativa ancora in fase di scrittura e valutazione, se si pensa che, per esempio, cantautori come Fabrizio De Andrè e Bob Dylan oggi vengono considerati non semplicemente cantanti e musicisti, ma poeti, e addirittura quest’ultimo viene proposto per il Premio Nobel. Pazienza parla di vita e di morte, di quotidianità e universalità con un lavoro colto i cui riferimenti sono tra la strada e  la letteratura di William Blake e Melville, tra l’arte antica e moderna. È la moltitudine di Pazienza che dice di amare: “… Rembrandt, i futuristi, alcuni dada. Poi c’è Caravaggio… Poi c’è Canaletto

    Cfr Giacinto Di Pietrantonio in “Andrea Pazienza. Postmoderno sui generis”

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